Notule
(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)
NOTE
E NOTIZIE - Anno XX – 4 novembre 2023.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”
(BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi
rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente
lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di
pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei
soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del
testo: BREVI INFORMAZIONI]
Il microbiota della madre impatta l’espressione
genica del feto in cervello, intestino e placenta.
È accertato che il microbiota materno modula lo sviluppo del feto, ma i
meccanismi molecolari finora non erano noti. Aleksi Husso e colleghi di un gruppo di ricerca finlandese
coordinato da Mikael Niku hanno studiato l’impatto
dei metaboliti microbici della madre sullo sviluppo del feto, rilevando in
intestino, cervello e placenta la modulazione di geni importanti per il sistema
immunitario, per la neurofisiologia, per la traduzione e per il metabolismo
energetico. L’impatto si è rivelato maggiore nei feti di sesso maschile. I
ricercatori hanno identificato anche metaboliti microbici non osservati in
precedenza in questo contesto. [BMC Biol. 21, 207, 2023].
Abilità numeriche degli uccelli: identificata
una base cellulare nel telencefalo di corvo. Maximilian E. Kirschhock e Andreas Nieder hanno
esplorato la base neurobiologica delle associazioni semantiche dei numeri nel
corvo, ossia una specie aviaria priva della struttura corticale dei mammiferi
responsabile del nostro “senso dei numeri”. Con una sofisticata tecnica di discriminazione
sperimentale, i ricercatori hanno verificato nel nidopallium
caudolaterale (NCL), una struttura nota per la
partecipazione alla cognizione numerica negli uccelli, che neuroni di
associazione rispondevano a rappresentazioni di valori numerici con
maggiore specificità che a rappresentazioni analogiche della quantità, costituite
da punti. [Cfr. PNAS USA – AOP doi: 10.1073/pnas.2313923120, 2023].
Malattia di Alzheimer: una traccia molto
precoce nell’ippocampo. Un segno che precede di molto la
formazione delle placche amiloidi potrebbe essere impiegato come marker
diagnostico precoce, soprattutto nei casi di familiarità per la malattia di
Alzheimer. In modelli murini della malattia è stato rilevato nell’ippocampo
un incremento del metabolismo mitocondriale, seguito da alterazione
sinaptica dovuta all’impedimento all’autofagia per il riciclo cellulare. [Luana Naia… Per Nilsson,
Molecular Psychiatry – AOP doi: 10.1038/s41380-023-02289-4, Nov. 2023].
Malattia di Parkinson: una causa della
discinesia da trattamento con L-Dopa. L’impiego storico elettivo
della L-Dopa nel trattamento della malattia di Parkinson, per la sua efficacia
nel sostituire la dopamina perduta con la degenerazione nigro-striatale, è
purtroppo spesso limitato dall’effetto collaterale di una grave discinesia. L’incremento
della ratio M1/M2 nella microglia dello striato, conseguente al
trattamento con L-Dopa, ha un ruolo concausale nella genesi della discinesia. [Cfr.
Journal of Neurochemistry – AOP doi: 10.1111/jnc.15993,
Nov. 2, 2023].
Connettività funzionale del cervello e
durata del sonno in giovani e adulti. Una durata
insufficiente del sonno notturno può avere conseguenze sul tono dell’umore e
sull’efficienza cognitiva, pertanto poter disporre di indici obiettivi della
durata del sonno potrebbe consentire utili valutazioni cliniche. Un nuovo
studio ha trovato che i pattern di connettività funzionale del comune
stato di riposo riflettono la durata del sonno nei giovani e nei giovani
adulti. [Cfr. Mummanemi A., et al., Hum Brain Mapp. AOP
– doi: 10.1002/hbm.26488, Nov. 2, 2023].
Perché l’iperstimolazione altera le
abilità cognitive negli animali anziani? Il controllo
omeostatico dei microcircuiti cerebrali previene alterazioni della
regolazione per effetto dell’uso. La plasticità corticale in risposta alla
stimolazione cambia col passare degli anni, ed è stato rilevato che negli animali
anziani l’iperstimolazione dei microcircuiti corticali supera la
capacità di riequilibrio omeostatico e compromette l’efficienza dei processi
cognitivi, cosa che non avviene nei giovani. È da verificare se anche nell’uomo
si verifica un processo simile. [Cfr. Nature Neuroscience – AOP doi: 10.1038/s41593-023-01451-z,
2023].
La scoperta di Jormungandr
walhallaensis una nuova specie di mosasauro marino. Lunedì scorso, 30
ottobre, è stata comunicata la scoperta di una nuova specie di Mosasaurus (dal fiume Mosa
che sfocia nel Mare del Nord), un terribile e pittoresco mostro simile a una
gigantesca lucertola acquatica carnivora, vissuta 80 milioni di anni fa nel
tardo Cretaceo, che presenta tratti di transizione fra altre specie fossili. Il
nome è stato ispirato a un serpente di mare della mitologia nordica: Jormungandr e la denominazione binomiale è stata
completata con l’indicazione della sua provenienza da Walhalla, una piccola
città del North Dakota (USA) nei pressi della quale è stato scoperto il
fossile. [Cfr.
Bulletin of the American Museum of Natural History, October 30, 2023].
Orribili e stupefacenti: i nuovi
comportamenti delle Orche fanno riflettere. Le Orche (Orcinus orca) sono predatori marini apicali
che possono predare anche animali molto più grandi di loro. Nel marzo 2019, al
largo delle coste sudoccidentali dell’Australia, per la prima volta dei
ricercatori hanno documentato con immagini impressionanti l’aggressione di
orche a una balena blu (Balaenoptera musculus), per massa il più grande animale della terra[1]:
divoravano enormi brani di polpa dai fianchi del cetaceo, che è morto nel giro
di un’ora.
Nei mesi recenti sono stati osservati
altri comportamenti inediti: al largo delle coste portoghesi e spagnole una
piccola popolazione di orche ha affondato tre imbarcazioni, e sono stati visti
gli esemplari adulti addestrare i giovani a fare lo stesso; sono state osservate
orche trasportare e sballottare girando sull’acqua per divertimento delle
focene, ossia piccoli cetacei simili a delfini; è documentato che alcune orche
attaccano gli squali, e li mordono con precisione per prelevarne il fegato di
cui sono ghiotte; infine, alcune a sera vanno a procurarsi lingue di balena “per
cena”.
Si studiano questi nuovi comportamenti e
alcuni biologi marini hanno notato che la complessità del cervello delle orche
potrebbe essere all’origine di queste azioni, che ricordano modi di agire della
nostra specie. [Live Science (Sascha Pare) e BM&L-Italia, novembre 2023].
Un’idea ritenuta autorevole sull’origine
dei caratteri della comunicazione mediatica attuale.
Proseguendo nelle riflessioni della notula della scorsa settimana (La
comunicazione impone i suoi paradigmi alla cultura e alle coscienze) e sostenendo
la tesi che non si debba avversare o demonizzare la comunicazione in quanto
tale o nel suo complesso, ma cogliere gli aspetti negativi per la cultura e la
civiltà dei modi che si sono affermati in una parte importante dei mass-media,
discutiamo un punto di vista interpretativo originariamente proposto da Mario
Perniola (2004), ma poi ripreso da molti osservatori. Il filosofo astigiano seguiva
Umberto Eco nell’idea di far risalire l’origine della comunicazione alla semiosi
ermetica dell’epoca classica, ma poi individuava nel vitalismo il
seme distruttivo delle prassi contrarie all’organizzazione culturale della
conoscenza e dei saperi:
Le origini remote della comunicazione
affondano, come si è detto, nella semiosi ermetica dell’antichità. Tuttavia essa
s’innesta su un modo di pensare che ha avuto un’enorme diffusione negli ultimi
due secoli, il vitalismo. L’idea centrale del
vitalismo è la demolizione di ogni tipo di logica e di razionalità, in nome
dell’immediatezza, della spontaneità, della creazione dal nulla[2].
Al vitalismo Perniola attribuisce la mancata
distinzione fra elementi che, in una forma organizzata come un testo di studio
di qualsiasi disciplina, risulterebbero contrapposti, incompatibili, incoerenti,
antitetici, antinomici o dialettici:
La percezione degli opposti viene
sentita come una gabbia a cui ci si deve sottrarre, come una prigione che
impedisce allo spirito creativo di esprimersi liberamente, come un ostacolo da
abbattere con una spallata: ne deriva l’esaltazione della forza e l’irrisione
di ciò che appare come meramente formale, meccanico, ripetitivo, mediato,
lentamente progressivo, rituale, o anche soltanto dotato di un’identità precisa[3].
Poi Perniola suggerisce un filo storico:
Tra Ottocento e Novecento il vitalismo
influenza enormemente la cultura, la politica, la letteratura e permea il modo
di sentire di alcune generazioni. Tuttavia non riesce a diventare egemonico,
perché deve fare i conti con la burocrazia, da cui dipende l’ordine della società
e l’effettualità delle azioni. È soltanto nella seconda metà del Novecento e specialmente
a partire dagli anni Sessanta, che esso diventa l’atout
della reazione alla società cognitiva. È infatti in quell’epoca che alla
cultura e al sapere si aprono orizzonti effettuali del tutto impensati e
inediti: il Sessantotto è stato infatti interpretato da chi scrive come un
profondo rivolgimento del rapporto tra reale e immaginario, che conferisce alla
cultura un nuovo potere. Nel Sessantotto non c’è una percezione chiara del
fatto che la rivoluzione cognitiva e lo spontaneismo vitalistico rappresentino scelte
opposte e inconciliabili. Ben pochi si accorgono che lo sfrenato vitalismo
della contestazione è qualcosa di retrogrado e reazionario rispetto al movimento
stesso e che esso rappresenta un modo di bloccare dall’interno la rivoluzione
intellettuale. Ancora peggio andrà negli anni successivi, specie nei paesi in
cui, come in Italia, il vitalismo si sposa con l’oscurantismo e con il
populismo. Tuttavia, trasformando i contestatori del Sessantotto in professori
e i contestatori del Settantasette in giornalisti, la rivoluzione cognitiva è
ricondotta nell’ambito della burocrazia e delle istituzioni: il vitalismo viene
abbandonato alla deriva autodistruttiva del terrorismo e delle tossicomanie.
Ma con l’Ottantanove, cioè col crollo
della più forte burocrazia mondiale (l’Unione Sovietica), tutto ritorna in
gioco. Si apre una nuova partita: lo sviluppo tecnologico (computer, internet,
e-mailing, globalizzazione dell’informazione…) apre al potere intellettuale
straordinarie possibilità di crescita, di studio, di conoscenza: la società
postindustriale diventa realtà e la competenza acquista un valore economico
autonomo sempre maggiore. Tutto ciò non avviene più come nel Sessantotto nel
nome di un’ideologia politica anticapitalistica, ma si presenta come una nuova forma
di capitale consapevolmente antagonista rispetto al capitale economico
tradizionale. Quest’ultimo perciò è costretto a giocare la carta del vitalismo
populistico: così contro la società cognitiva
nasce il dispotismo comunicativo, cioè una strategia volta ad asservire
non solo professori, scienziati e giornalisti, ma ogni sorta di intellettuali e
di specialisti con pretese di legittimazione autonoma (magistrati, grand commis
dell’amministrazione pubblica, direttori di strutture ospedaliere, economisti,
esperti di qualsiasi tipo dotati di deontologia professionale).
Parte un grande attacco al
professionalismo e a ogni sorta di mediazione autonoma che si frapponga fra i
vecchi poteri riciclati e il pubblico[4].
A nostro avviso la questione non è solo
molto più complessa di un “capitale antagonista” che induce il “capitale
tradizionale” a giocare la carta del vitalismo populista, generando i despoti
della comunicazione, ma è radicalmente diversa da questa forzatura iper-semplificativa
dal lessico marxista. La nostra convinzione è che la massima parte degli
operatori massmediatici non solo non sappia nulla del vitalismo, ma che, al di
là della verosimiglianza di questa tesi e della plausibilità dell’accostamento,
i fini dei comunicatori non siano vitalistici e la similarità dell’apparenza
fenomenica comunicativa col vitalismo sia solo un epifenomeno della sommatoria
indistinta di fini strumentali diversi e coesistenti, spesso accomunati solo dall’implicita
aspirazione ad ottenere la maggiore audience possibile.
Concordiamo col fatto che esistano nei
grandi mezzi di comunicazione di massa, particolarmente nei maggiori network
televisivi, dei “soggetti responsabili di trasmissioni” autorizzati a un esercizio
discrezionale del potere di conferire legittimazione mediatica, che li fa
apparire quali despoti della comunicazione, ma riteniamo che per cercare
di comprendere come si sia giunti a questo punto e per quanta parte ciò che
rileviamo nella comunicazione sia specifico di quel contesto e non sia specchio
della società, dovremmo interrogarci sui grandi mutamenti antropologici degli
ultimi decenni. Cambiamenti caratterizzati dalla perdita delle grandi strutture
simboliche di senso condivise, legate al credo religioso e alla fede nelle
ideologie epocali, a fronte dell’affermazione di un potere diffuso, globale e
atomizzato di nuove e vecchie idolatrie, un potere radicato nella cieca inconsapevolezza
dei suoi interpreti, che li rende esecutori sistematici e affidabili, perché
convinti di fare il proprio interesse, mentre servono il loro padrone.
Siccome riteniamo che l’impresa immane
di un’analisi approfondita dei processi sociali che hanno conferito alla
comunicazione tutti quei tratti caratteristici che non dipendono dai vincoli
della tecnologia e dalla pragmatica tecnica di impiego esuli dai nostri compiti,
non rientri nei nostri interessi e sia superiore alle nostre possibilità, la
accantoniamo, preferendo concentrarci su limiti, difetti ed errori che emergono
dai contenuti della comunicazione.
Ma coloro che seguono Perniola,
continuando sulla sua traccia, rilevano che il vitalismo del populismo comunicativo
è differente dal vitalismo romantico e da quello della contestazione, in quanto
si configura come una “manifestazione di falsa coscienza”[5].
La scorsa settimana nella notula in cui notavamo come questa comunicazione
mediatica imponga i suoi paradigmi alla cultura e alle coscienze, si possono
trovare dei punti di contatto con questa visione e, anche se noi prescindiamo
dal vitalismo, condividiamo che lo stile prevalente nei media sembra fondarsi
su queste convinzioni:
…. che i mediatori possano essere
tutti asserviti, che il pubblico diventi sempre più ignorante e incapace di
spirito critico, che le acrobazie e le incongruenze della comunicazione
mediatica siano recepite come manifestazioni della potenza e della fecondità
della vita[6]. [BM&L-Italia, novembre 2023].
Donne che hanno influenzato per secoli
lo spirito e la vita di una città pur derise e calunniate.
Oggi siamo abituati alle influenze di massa esercitate da fenomeni e personaggi
mediatici; nel Medioevo e nell’Età Moderna, fino a gran parte dell’epoca
contemporanea, esistevano nelle città numerose fonti individuali e associative,
oltre quelle istituzionali, in grado di esercitare una notevole influenza sul
pensiero morale, sull’atteggiamento psicologico e sul comportamento dei cittadini.
Prendendo a modello esemplare la città di Firenze, vengono in mente le Corporazioni
delle Arti, l’Accademia fiorentina, lo Studio di Firenze, gli Ordini religiosi
con le loro scuole di teologia e i predicatori, da Arlotto Mainardi con suo
cugino Sant’Antonino a Girolamo Savonarola, le botteghe dei grandi artisti e i
cenacoli culturali, quale quello di Lorenzo il Magnifico che annoverava fra gli
altri Leonardo da Vinci, Marsilio Ficino e Pico della Mirandola.
Ma esistevano altre fonti di quotidiana
influenza, che non sono passate alla storia per grandi opere o imprese, ma
hanno contribuito in silenzio, con l’esempio e l’intervento gratuito quotidiano
di aiuto e insegnamento, a modellare le coscienze degli stessi educatori. Le
donne del terzo ordine francescano sono state in Firenze una colonna a sostegno
dell’architrave etico dell’edificio civile del popolo fiorentino; i modi della
loro influenza dovrebbero essere oggetto di riflessione, se non di studio,
ancora oggi.
Lucchese, per ben vivere nel suo stato
laico e matrimoniale, chiese a San Francesco di istituire una regola, terza dopo
quella del primo ordine mendicante e quella di Santa Chiara. A tale origine si
fa risalire il laicato cristiano di queste fanciulle e donne fiorentine, che
indossavano un abito di un panno grezzo non sottoposto all’ordinaria coloritura
dell’Arte dei Tintori, ma semplicemente ottenuto per tessitura delle lane del
loro colore naturale bianco e del più raro bruno delle pecore nere, così che
risultava di una tinta bigia. Leggiamo quanto riferisce Foresto Niccolai,
archivista della Misericordia di Firenze:
A Firenze le donne che facevano parte del
terz’ordine francescano vestivano comunemente d’una tela un po’ bigia che nel
linguaggio quotidiano, da «bigio» divenne «bizzo». Le
«Bizze» si dissero, e il termine fu presto sinonimo anche del loro carattere un
po’ particolare, tanto che «fare le bizze», significò «impuntarsi, impermalirsi»
come spesso accadeva a queste donne un tantino intransigenti. Col tempo le «Bizze»
si trasformarono in «Bizzochere» e ancora in «Pinzochere»[7].
Per i rapporti risalenti al governo di Firenze
da parte di Roberto d’Angiò, dal 1313 al 1318, il termine bizzochera
si diffuse a Napoli, dove divenne bizzoca, e si è usato poi per indicare
le beghine, le bigotte e non le terziarie. Successivamente, nel vernacolo di
Firenze, si affermò il nome di Pinzochere, così che quando una fanciulla andava
avanti negli anni senza prender marito si diceva che era una “Pinza”, ossia
destinata a rimanere zitella. Lo scopo principale delle Pinzochere era la
materiale e quotidiana interpretazione della carità attraverso le opere di
misericordia corporale e spirituale, con un impegno tale da indurre la maggior
parte delle giovani a dedicarvisi completamente, rinunciando a formarsi una
famiglia; tuttavia, non poche di loro si sposavano o entravano nel terz’ordine
già sposate, così che nel loro insieme portavano fra la gente tanto il modello
di virtù delle vergini, quanto quello delle mogli.
Fedeli a “madonna povertà”, le terziarie
fiorentine si sobbarcavano gratuitamente il compito della manutenzione e della
pulizia quotidiana della basilica di Santa Croce, alla quale accedevano da una
porta laterale, che si chiama proprio “Porta delle Pinzochere”, che oggi si
vede murata e coperta all’esterno da un monumento funebre. “Le buone «Pinzochere»,
che col vestito «color di bigello» si adoperavano in città a lenire le sofferenze
della gente”[8],
prendevano dimora presso un cenobio chiamato Convento di Santa Elisabetta del
Capitolo, situato in prossimità del fianco nord della basilica di Santa Croce:
il luogo dove sorgeva si può vedere volgendo le spalle al lato esterno della
statua di Dante e guardando dinanzi a sé l’attuale Via San Giuseppe, tra Borgo
Allegri e Via dei Macci[9].
Fra le opere di misericordia onorate
quotidianamente da queste infaticabili laiche vi era il “consiglio dei dubbiosi”,
che aveva assunto una funzione tutta speciale nell’orientamento delle donne indigenti
che giungevano dalla campagna e spesso dai paesi dell’est europeo in cerca di
lavoro: avevano istituito un apposito uffizio per trovare loro un’occupazione.
Così ne parla Foresto Niccolai:
Le fanciulle che arrivavano in città
dalla compagna per «venire a servizio», si trovavano spesso in gravi
difficoltà. Giungevano spaesate e pavide, ma non mancava l’aiuto della
Pinzochere, che le dirottavano ad un particolare ufficio che pensava al loro
collocamento. Questo ufficio funzionava anche quando qualche servente restava senza
padrone, o per desiderio di migliorare il servizio[10].
A differenza delle suore, come nell’evangelica
differenza tra Marta e Maria, le terziarie fiorentine erano “nel mondo”, tra la
gente, a fare fronte ogni giorno alle nuove emergenze, a cercare i bisognosi
afflitti incapaci di chiedere aiuto, i “poveri vergognosi”, ossia le persone
diventate indigenti per sventura che non avrebbero mai chiesto l’elemosina, le
donne indotte dalla misera a prostituirsi o a fingersi dotate di poteri di
vaticinio per predire la fortuna ai ricchi viandanti, sperando di ottenere
qualche moneta. Davano cibo, indumenti e riparo a chi ne avesse bisogno e, quando
erano nei paraggi, accorrevano a soccorrere coloro che erano accidentalmente investiti
da un carro o da un cavallo, o cadevano feriti in una lite; anche se non
giunsero nella cura degli infermi a compiere le opere dei Servi di Maria Santissima
Annunziata – che fondarono l’Ospedale degli Innocenti, ossia il primo ospedale
pediatrico della storia – assistevano gli ammalati.
Le terziarie avviavano il
loro giorno prima dell’alba con la pulizia di Santa Croce e, subito dopo la
preghiera del mattino, con l’allegro entusiasmo di chi serve il Signore con gioia,
andavano in cerca di sofferenti cui donare la vicinanza empatica di un sorriso,
e così improvvisavano la giornata con creatività ed energia. Erano ammirate
dalle persone volte al bene, suscitavano invidia e antipatia nei ghibellini
atei e in coloro che vivevano nell’odio del prossimo e per meschinità tendevano
a sminuire, negare o cancellare la virtù altrui.
I maldicenti e i calunniatori, dopo aver
inventato di sana pianta l’esistenza di un fantomatico passaggio segreto che
avrebbe collegato la loro dimora a quella dei frati, additarono alla pubblica
attenzione l’uscita delle terziarie alle prime luci dell’alba da Santa Croce, dove
in realtà si recavano per fare le pulizie, insinuando che trascorressero la notte
in compagnia dei frati. Queste maldicenze e altre dicerie volte a infangare un’immagine
di venerata santità custodita nella storia cittadina e nella coscienza del
popolo, che per qualche secolo aveva beneficiato della loro carità, furono
prese a pretesto da Cosimo I, quando nell’ottica di ridurre gli investimenti
nel sostegno alla Chiesa, dispose la riduzione degli ordini religiosi e, con
essi, la soppressione del terzo ordine di San Francesco in Firenze.
Ma, intanto, era rimasta una traccia
importante. Molte cose la gente aveva capito grazie alle buone pinzochere: che
incarnare un ideale di vita nel dono di sé e nell’amore del prossimo vale più
di ogni ricchezza, perché solleva tanti dalla sofferenza e ti restituisce
amore, non riducendoti alla passività del possesso da difendere dagli altri
visti come nemici, ma esercitandoti nell’essere amore e, in tal modo, crescendo
in forza e saggezza; la donna che sbaglia non è “perduta”, e se trova la via
della vita oblativa può diventare un angelo del bene, e dare a cento altri ciò
che gratuitamente ha ricevuto in comprensione, sostegno e supporto. La Firenze
colta e riconoscente decise di intitolare alle terziarie una strada, dove la
maggior parte di loro aveva vissuto e operato: Via delle Pinzochere, che va dal
Largo Bargellini a Via Ghibellina, aprendosi su Piazza Santa Croce. [BM&L-Italia, novembre 2023].
Notule
BM&L-04 novembre 2023
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La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International
Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze,
Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Con un peso di 160 tonnellate e
una lunghezza di 28 metri è il più grande degli animali viventi del nostro
pianeta.
[2] Mario Perniola, Contro la
comunicazione, p. 24, Einaudi, Torino 2004.
[3] Mario Perniola, op. cit., idem.
[4] Mario Perniola, op. cit., pp.
25-27.
[5] Cfr. Mario Perniola, op. cit.,
p. 27.
[6] Mario Perniola, op. cit., idem.
[7] Foresto Niccolai, Bricciche
Fiorentine, parte terza, vol. III, p. 187, Tipografia Coppini, Firenze 1996.
[8] Foresto Niccolai, op. cit., idem.
[9] Il Convento di Santa Elisabetta
del Capitolo era stato fondato come sede di una confraternita nel 1285 da
Arrigo de’ Cerchi, e poi assegnato alle donne del terz’ordine.
[10] Foresto Niccolai, op. cit.,
idem.