Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XX – 4 novembre 2023.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

Il microbiota della madre impatta l’espressione genica del feto in cervello, intestino e placenta. È accertato che il microbiota materno modula lo sviluppo del feto, ma i meccanismi molecolari finora non erano noti. Aleksi Husso e colleghi di un gruppo di ricerca finlandese coordinato da Mikael Niku hanno studiato l’impatto dei metaboliti microbici della madre sullo sviluppo del feto, rilevando in intestino, cervello e placenta la modulazione di geni importanti per il sistema immunitario, per la neurofisiologia, per la traduzione e per il metabolismo energetico. L’impatto si è rivelato maggiore nei feti di sesso maschile. I ricercatori hanno identificato anche metaboliti microbici non osservati in precedenza in questo contesto.  [BMC Biol. 21, 207, 2023].

 

Abilità numeriche degli uccelli: identificata una base cellulare nel telencefalo di corvo. Maximilian E. Kirschhock e Andreas Nieder hanno esplorato la base neurobiologica delle associazioni semantiche dei numeri nel corvo, ossia una specie aviaria priva della struttura corticale dei mammiferi responsabile del nostro “senso dei numeri”. Con una sofisticata tecnica di discriminazione sperimentale, i ricercatori hanno verificato nel nidopallium caudolaterale (NCL), una struttura nota per la partecipazione alla cognizione numerica negli uccelli, che neuroni di associazione rispondevano a rappresentazioni di valori numerici con maggiore specificità che a rappresentazioni analogiche della quantità, costituite da punti. [Cfr. PNAS USA – AOP doi: 10.1073/pnas.2313923120, 2023].

 

Malattia di Alzheimer: una traccia molto precoce nell’ippocampo. Un segno che precede di molto la formazione delle placche amiloidi potrebbe essere impiegato come marker diagnostico precoce, soprattutto nei casi di familiarità per la malattia di Alzheimer. In modelli murini della malattia è stato rilevato nell’ippocampo un incremento del metabolismo mitocondriale, seguito da alterazione sinaptica dovuta all’impedimento all’autofagia per il riciclo cellulare. [Luana Naia… Per Nilsson, Molecular Psychiatry – AOP doi: 10.1038/s41380-023-02289-4, Nov. 2023].

 

Malattia di Parkinson: una causa della discinesia da trattamento con L-Dopa. L’impiego storico elettivo della L-Dopa nel trattamento della malattia di Parkinson, per la sua efficacia nel sostituire la dopamina perduta con la degenerazione nigro-striatale, è purtroppo spesso limitato dall’effetto collaterale di una grave discinesia. L’incremento della ratio M1/M2 nella microglia dello striato, conseguente al trattamento con L-Dopa, ha un ruolo concausale nella genesi della discinesia. [Cfr. Journal of Neurochemistry – AOP doi: 10.1111/jnc.15993, Nov. 2, 2023].

 

Connettività funzionale del cervello e durata del sonno in giovani e adulti. Una durata insufficiente del sonno notturno può avere conseguenze sul tono dell’umore e sull’efficienza cognitiva, pertanto poter disporre di indici obiettivi della durata del sonno potrebbe consentire utili valutazioni cliniche. Un nuovo studio ha trovato che i pattern di connettività funzionale del comune stato di riposo riflettono la durata del sonno nei giovani e nei giovani adulti. [Cfr. Mummanemi A., et al., Hum Brain Mapp. AOP – doi: 10.1002/hbm.26488, Nov. 2, 2023].

 

Perché l’iperstimolazione altera le abilità cognitive negli animali anziani? Il controllo omeostatico dei microcircuiti cerebrali previene alterazioni della regolazione per effetto dell’uso. La plasticità corticale in risposta alla stimolazione cambia col passare degli anni, ed è stato rilevato che negli animali anziani l’iperstimolazione dei microcircuiti corticali supera la capacità di riequilibrio omeostatico e compromette l’efficienza dei processi cognitivi, cosa che non avviene nei giovani. È da verificare se anche nell’uomo si verifica un processo simile. [Cfr. Nature Neuroscience – AOP doi: 10.1038/s41593-023-01451-z, 2023].

 

La scoperta di Jormungandr walhallaensis una nuova specie di mosasauro marino. Lunedì scorso, 30 ottobre, è stata comunicata la scoperta di una nuova specie di Mosasaurus (dal fiume Mosa che sfocia nel Mare del Nord), un terribile e pittoresco mostro simile a una gigantesca lucertola acquatica carnivora, vissuta 80 milioni di anni fa nel tardo Cretaceo, che presenta tratti di transizione fra altre specie fossili. Il nome è stato ispirato a un serpente di mare della mitologia nordica: Jormungandr e la denominazione binomiale è stata completata con l’indicazione della sua provenienza da Walhalla, una piccola città del North Dakota (USA) nei pressi della quale è stato scoperto il fossile. [Cfr. Bulletin of the American Museum of Natural History, October 30, 2023].

 

Orribili e stupefacenti: i nuovi comportamenti delle Orche fanno riflettere. Le Orche (Orcinus orca) sono predatori marini apicali che possono predare anche animali molto più grandi di loro. Nel marzo 2019, al largo delle coste sudoccidentali dell’Australia, per la prima volta dei ricercatori hanno documentato con immagini impressionanti l’aggressione di orche a una balena blu (Balaenoptera musculus), per massa il più grande animale della terra[1]: divoravano enormi brani di polpa dai fianchi del cetaceo, che è morto nel giro di un’ora.

Nei mesi recenti sono stati osservati altri comportamenti inediti: al largo delle coste portoghesi e spagnole una piccola popolazione di orche ha affondato tre imbarcazioni, e sono stati visti gli esemplari adulti addestrare i giovani a fare lo stesso; sono state osservate orche trasportare e sballottare girando sull’acqua per divertimento delle focene, ossia piccoli cetacei simili a delfini; è documentato che alcune orche attaccano gli squali, e li mordono con precisione per prelevarne il fegato di cui sono ghiotte; infine, alcune a sera vanno a procurarsi lingue di balena “per cena”.

Si studiano questi nuovi comportamenti e alcuni biologi marini hanno notato che la complessità del cervello delle orche potrebbe essere all’origine di queste azioni, che ricordano modi di agire della nostra specie. [Live Science (Sascha Pare) e BM&L-Italia, novembre 2023].

 

Un’idea ritenuta autorevole sull’origine dei caratteri della comunicazione mediatica attuale. Proseguendo nelle riflessioni della notula della scorsa settimana (La comunicazione impone i suoi paradigmi alla cultura e alle coscienze) e sostenendo la tesi che non si debba avversare o demonizzare la comunicazione in quanto tale o nel suo complesso, ma cogliere gli aspetti negativi per la cultura e la civiltà dei modi che si sono affermati in una parte importante dei mass-media, discutiamo un punto di vista interpretativo originariamente proposto da Mario Perniola (2004), ma poi ripreso da molti osservatori. Il filosofo astigiano seguiva Umberto Eco nell’idea di far risalire l’origine della comunicazione alla semiosi ermetica dell’epoca classica, ma poi individuava nel vitalismo il seme distruttivo delle prassi contrarie all’organizzazione culturale della conoscenza e dei saperi:

 

Le origini remote della comunicazione affondano, come si è detto, nella semiosi ermetica dell’antichità. Tuttavia essa s’innesta su un modo di pensare che ha avuto un’enorme diffusione negli ultimi due secoli, il vitalismo. L’idea centrale del vitalismo è la demolizione di ogni tipo di logica e di razionalità, in nome dell’immediatezza, della spontaneità, della creazione dal nulla[2].

 

Al vitalismo Perniola attribuisce la mancata distinzione fra elementi che, in una forma organizzata come un testo di studio di qualsiasi disciplina, risulterebbero contrapposti, incompatibili, incoerenti, antitetici, antinomici o dialettici:

 

La percezione degli opposti viene sentita come una gabbia a cui ci si deve sottrarre, come una prigione che impedisce allo spirito creativo di esprimersi liberamente, come un ostacolo da abbattere con una spallata: ne deriva l’esaltazione della forza e l’irrisione di ciò che appare come meramente formale, meccanico, ripetitivo, mediato, lentamente progressivo, rituale, o anche soltanto dotato di un’identità precisa[3].

 

Poi Perniola suggerisce un filo storico:

 

Tra Ottocento e Novecento il vitalismo influenza enormemente la cultura, la politica, la letteratura e permea il modo di sentire di alcune generazioni. Tuttavia non riesce a diventare egemonico, perché deve fare i conti con la burocrazia, da cui dipende l’ordine della società e l’effettualità delle azioni. È soltanto nella seconda metà del Novecento e specialmente a partire dagli anni Sessanta, che esso diventa l’atout della reazione alla società cognitiva. È infatti in quell’epoca che alla cultura e al sapere si aprono orizzonti effettuali del tutto impensati e inediti: il Sessantotto è stato infatti interpretato da chi scrive come un profondo rivolgimento del rapporto tra reale e immaginario, che conferisce alla cultura un nuovo potere. Nel Sessantotto non c’è una percezione chiara del fatto che la rivoluzione cognitiva e lo spontaneismo vitalistico rappresentino scelte opposte e inconciliabili. Ben pochi si accorgono che lo sfrenato vitalismo della contestazione è qualcosa di retrogrado e reazionario rispetto al movimento stesso e che esso rappresenta un modo di bloccare dall’interno la rivoluzione intellettuale. Ancora peggio andrà negli anni successivi, specie nei paesi in cui, come in Italia, il vitalismo si sposa con l’oscurantismo e con il populismo. Tuttavia, trasformando i contestatori del Sessantotto in professori e i contestatori del Settantasette in giornalisti, la rivoluzione cognitiva è ricondotta nell’ambito della burocrazia e delle istituzioni: il vitalismo viene abbandonato alla deriva autodistruttiva del terrorismo e delle tossicomanie.

Ma con l’Ottantanove, cioè col crollo della più forte burocrazia mondiale (l’Unione Sovietica), tutto ritorna in gioco. Si apre una nuova partita: lo sviluppo tecnologico (computer, internet, e-mailing, globalizzazione dell’informazione…) apre al potere intellettuale straordinarie possibilità di crescita, di studio, di conoscenza: la società postindustriale diventa realtà e la competenza acquista un valore economico autonomo sempre maggiore. Tutto ciò non avviene più come nel Sessantotto nel nome di un’ideologia politica anticapitalistica, ma si presenta come una nuova forma di capitale consapevolmente antagonista rispetto al capitale economico tradizionale. Quest’ultimo perciò è costretto a giocare la carta del vitalismo populistico: così contro la società cognitiva nasce il dispotismo comunicativo, cioè una strategia volta ad asservire non solo professori, scienziati e giornalisti, ma ogni sorta di intellettuali e di specialisti con pretese di legittimazione autonoma (magistrati, grand commis dell’amministrazione pubblica, direttori di strutture ospedaliere, economisti, esperti di qualsiasi tipo dotati di deontologia professionale).

Parte un grande attacco al professionalismo e a ogni sorta di mediazione autonoma che si frapponga fra i vecchi poteri riciclati e il pubblico[4].

 

A nostro avviso la questione non è solo molto più complessa di un “capitale antagonista” che induce il “capitale tradizionale” a giocare la carta del vitalismo populista, generando i despoti della comunicazione, ma è radicalmente diversa da questa forzatura iper-semplificativa dal lessico marxista. La nostra convinzione è che la massima parte degli operatori massmediatici non solo non sappia nulla del vitalismo, ma che, al di là della verosimiglianza di questa tesi e della plausibilità dell’accostamento, i fini dei comunicatori non siano vitalistici e la similarità dell’apparenza fenomenica comunicativa col vitalismo sia solo un epifenomeno della sommatoria indistinta di fini strumentali diversi e coesistenti, spesso accomunati solo dall’implicita aspirazione ad ottenere la maggiore audience possibile.

Concordiamo col fatto che esistano nei grandi mezzi di comunicazione di massa, particolarmente nei maggiori network televisivi, dei “soggetti responsabili di trasmissioni” autorizzati a un esercizio discrezionale del potere di conferire legittimazione mediatica, che li fa apparire quali despoti della comunicazione, ma riteniamo che per cercare di comprendere come si sia giunti a questo punto e per quanta parte ciò che rileviamo nella comunicazione sia specifico di quel contesto e non sia specchio della società, dovremmo interrogarci sui grandi mutamenti antropologici degli ultimi decenni. Cambiamenti caratterizzati dalla perdita delle grandi strutture simboliche di senso condivise, legate al credo religioso e alla fede nelle ideologie epocali, a fronte dell’affermazione di un potere diffuso, globale e atomizzato di nuove e vecchie idolatrie, un potere radicato nella cieca inconsapevolezza dei suoi interpreti, che li rende esecutori sistematici e affidabili, perché convinti di fare il proprio interesse, mentre servono il loro padrone.

Siccome riteniamo che l’impresa immane di un’analisi approfondita dei processi sociali che hanno conferito alla comunicazione tutti quei tratti caratteristici che non dipendono dai vincoli della tecnologia e dalla pragmatica tecnica di impiego esuli dai nostri compiti, non rientri nei nostri interessi e sia superiore alle nostre possibilità, la accantoniamo, preferendo concentrarci su limiti, difetti ed errori che emergono dai contenuti della comunicazione.

Ma coloro che seguono Perniola, continuando sulla sua traccia, rilevano che il vitalismo del populismo comunicativo è differente dal vitalismo romantico e da quello della contestazione, in quanto si configura come una “manifestazione di falsa coscienza”[5]. La scorsa settimana nella notula in cui notavamo come questa comunicazione mediatica imponga i suoi paradigmi alla cultura e alle coscienze, si possono trovare dei punti di contatto con questa visione e, anche se noi prescindiamo dal vitalismo, condividiamo che lo stile prevalente nei media sembra fondarsi su queste convinzioni:

…. che i mediatori possano essere tutti asserviti, che il pubblico diventi sempre più ignorante e incapace di spirito critico, che le acrobazie e le incongruenze della comunicazione mediatica siano recepite come manifestazioni della potenza e della fecondità della vita[6]. [BM&L-Italia, novembre 2023].

 

Donne che hanno influenzato per secoli lo spirito e la vita di una città pur derise e calunniate. Oggi siamo abituati alle influenze di massa esercitate da fenomeni e personaggi mediatici; nel Medioevo e nell’Età Moderna, fino a gran parte dell’epoca contemporanea, esistevano nelle città numerose fonti individuali e associative, oltre quelle istituzionali, in grado di esercitare una notevole influenza sul pensiero morale, sull’atteggiamento psicologico e sul comportamento dei cittadini. Prendendo a modello esemplare la città di Firenze, vengono in mente le Corporazioni delle Arti, l’Accademia fiorentina, lo Studio di Firenze, gli Ordini religiosi con le loro scuole di teologia e i predicatori, da Arlotto Mainardi con suo cugino Sant’Antonino a Girolamo Savonarola, le botteghe dei grandi artisti e i cenacoli culturali, quale quello di Lorenzo il Magnifico che annoverava fra gli altri Leonardo da Vinci, Marsilio Ficino e Pico della Mirandola.

Ma esistevano altre fonti di quotidiana influenza, che non sono passate alla storia per grandi opere o imprese, ma hanno contribuito in silenzio, con l’esempio e l’intervento gratuito quotidiano di aiuto e insegnamento, a modellare le coscienze degli stessi educatori. Le donne del terzo ordine francescano sono state in Firenze una colonna a sostegno dell’architrave etico dell’edificio civile del popolo fiorentino; i modi della loro influenza dovrebbero essere oggetto di riflessione, se non di studio, ancora oggi.

Lucchese, per ben vivere nel suo stato laico e matrimoniale, chiese a San Francesco di istituire una regola, terza dopo quella del primo ordine mendicante e quella di Santa Chiara. A tale origine si fa risalire il laicato cristiano di queste fanciulle e donne fiorentine, che indossavano un abito di un panno grezzo non sottoposto all’ordinaria coloritura dell’Arte dei Tintori, ma semplicemente ottenuto per tessitura delle lane del loro colore naturale bianco e del più raro bruno delle pecore nere, così che risultava di una tinta bigia. Leggiamo quanto riferisce Foresto Niccolai, archivista della Misericordia di Firenze:

 

A Firenze le donne che facevano parte del terz’ordine francescano vestivano comunemente d’una tela un po’ bigia che nel linguaggio quotidiano, da «bigio» divenne «bizzo». Le «Bizze» si dissero, e il termine fu presto sinonimo anche del loro carattere un po’ particolare, tanto che «fare le bizze», significò «impuntarsi, impermalirsi» come spesso accadeva a queste donne un tantino intransigenti. Col tempo le «Bizze» si trasformarono in «Bizzochere» e ancora in «Pinzochere»[7].

 

Per i rapporti risalenti al governo di Firenze da parte di Roberto d’Angiò, dal 1313 al 1318, il termine bizzochera si diffuse a Napoli, dove divenne bizzoca, e si è usato poi per indicare le beghine, le bigotte e non le terziarie. Successivamente, nel vernacolo di Firenze, si affermò il nome di Pinzochere, così che quando una fanciulla andava avanti negli anni senza prender marito si diceva che era una “Pinza”, ossia destinata a rimanere zitella. Lo scopo principale delle Pinzochere era la materiale e quotidiana interpretazione della carità attraverso le opere di misericordia corporale e spirituale, con un impegno tale da indurre la maggior parte delle giovani a dedicarvisi completamente, rinunciando a formarsi una famiglia; tuttavia, non poche di loro si sposavano o entravano nel terz’ordine già sposate, così che nel loro insieme portavano fra la gente tanto il modello di virtù delle vergini, quanto quello delle mogli.

Fedeli a “madonna povertà”, le terziarie fiorentine si sobbarcavano gratuitamente il compito della manutenzione e della pulizia quotidiana della basilica di Santa Croce, alla quale accedevano da una porta laterale, che si chiama proprio “Porta delle Pinzochere”, che oggi si vede murata e coperta all’esterno da un monumento funebre. “Le buone «Pinzochere», che col vestito «color di bigello» si adoperavano in città a lenire le sofferenze della gente”[8], prendevano dimora presso un cenobio chiamato Convento di Santa Elisabetta del Capitolo, situato in prossimità del fianco nord della basilica di Santa Croce: il luogo dove sorgeva si può vedere volgendo le spalle al lato esterno della statua di Dante e guardando dinanzi a sé l’attuale Via San Giuseppe, tra Borgo Allegri e Via dei Macci[9].

Fra le opere di misericordia onorate quotidianamente da queste infaticabili laiche vi era il “consiglio dei dubbiosi”, che aveva assunto una funzione tutta speciale nell’orientamento delle donne indigenti che giungevano dalla campagna e spesso dai paesi dell’est europeo in cerca di lavoro: avevano istituito un apposito uffizio per trovare loro un’occupazione. Così ne parla Foresto Niccolai:

 

Le fanciulle che arrivavano in città dalla compagna per «venire a servizio», si trovavano spesso in gravi difficoltà. Giungevano spaesate e pavide, ma non mancava l’aiuto della Pinzochere, che le dirottavano ad un particolare ufficio che pensava al loro collocamento. Questo ufficio funzionava anche quando qualche servente restava senza padrone, o per desiderio di migliorare il servizio[10].

 

A differenza delle suore, come nell’evangelica differenza tra Marta e Maria, le terziarie fiorentine erano “nel mondo”, tra la gente, a fare fronte ogni giorno alle nuove emergenze, a cercare i bisognosi afflitti incapaci di chiedere aiuto, i “poveri vergognosi”, ossia le persone diventate indigenti per sventura che non avrebbero mai chiesto l’elemosina, le donne indotte dalla misera a prostituirsi o a fingersi dotate di poteri di vaticinio per predire la fortuna ai ricchi viandanti, sperando di ottenere qualche moneta. Davano cibo, indumenti e riparo a chi ne avesse bisogno e, quando erano nei paraggi, accorrevano a soccorrere coloro che erano accidentalmente investiti da un carro o da un cavallo, o cadevano feriti in una lite; anche se non giunsero nella cura degli infermi a compiere le opere dei Servi di Maria Santissima Annunziata – che fondarono l’Ospedale degli Innocenti, ossia il primo ospedale pediatrico della storia – assistevano gli ammalati.

Le terziarie avviavano il loro giorno prima dell’alba con la pulizia di Santa Croce e, subito dopo la preghiera del mattino, con l’allegro entusiasmo di chi serve il Signore con gioia, andavano in cerca di sofferenti cui donare la vicinanza empatica di un sorriso, e così improvvisavano la giornata con creatività ed energia. Erano ammirate dalle persone volte al bene, suscitavano invidia e antipatia nei ghibellini atei e in coloro che vivevano nell’odio del prossimo e per meschinità tendevano a sminuire, negare o cancellare la virtù altrui.

I maldicenti e i calunniatori, dopo aver inventato di sana pianta l’esistenza di un fantomatico passaggio segreto che avrebbe collegato la loro dimora a quella dei frati, additarono alla pubblica attenzione l’uscita delle terziarie alle prime luci dell’alba da Santa Croce, dove in realtà si recavano per fare le pulizie, insinuando che trascorressero la notte in compagnia dei frati. Queste maldicenze e altre dicerie volte a infangare un’immagine di venerata santità custodita nella storia cittadina e nella coscienza del popolo, che per qualche secolo aveva beneficiato della loro carità, furono prese a pretesto da Cosimo I, quando nell’ottica di ridurre gli investimenti nel sostegno alla Chiesa, dispose la riduzione degli ordini religiosi e, con essi, la soppressione del terzo ordine di San Francesco in Firenze.

Ma, intanto, era rimasta una traccia importante. Molte cose la gente aveva capito grazie alle buone pinzochere: che incarnare un ideale di vita nel dono di sé e nell’amore del prossimo vale più di ogni ricchezza, perché solleva tanti dalla sofferenza e ti restituisce amore, non riducendoti alla passività del possesso da difendere dagli altri visti come nemici, ma esercitandoti nell’essere amore e, in tal modo, crescendo in forza e saggezza; la donna che sbaglia non è “perduta”, e se trova la via della vita oblativa può diventare un angelo del bene, e dare a cento altri ciò che gratuitamente ha ricevuto in comprensione, sostegno e supporto. La Firenze colta e riconoscente decise di intitolare alle terziarie una strada, dove la maggior parte di loro aveva vissuto e operato: Via delle Pinzochere, che va dal Largo Bargellini a Via Ghibellina, aprendosi su Piazza Santa Croce. [BM&L-Italia, novembre 2023].

 

Notule

BM&L-04 novembre 2023

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[1] Con un peso di 160 tonnellate e una lunghezza di 28 metri è il più grande degli animali viventi del nostro pianeta.

[2] Mario Perniola, Contro la comunicazione, p. 24, Einaudi, Torino 2004.

[3] Mario Perniola, op. cit., idem.

[4] Mario Perniola, op. cit., pp. 25-27.

[5] Cfr. Mario Perniola, op. cit., p. 27.

[6] Mario Perniola, op. cit., idem.

[7] Foresto Niccolai, Bricciche Fiorentine, parte terza, vol. III, p. 187, Tipografia Coppini, Firenze 1996.

[8] Foresto Niccolai, op. cit., idem.

[9] Il Convento di Santa Elisabetta del Capitolo era stato fondato come sede di una confraternita nel 1285 da Arrigo de’ Cerchi, e poi assegnato alle donne del terz’ordine.

[10] Foresto Niccolai, op. cit., idem.